Per tutta la durata di una Dieta Chetogenica vige la categorica esclusione di alimenti ad alto contenuto di carboidrati come pasta, pane, pizza e dolci. Così come quelli che comunemente è possibile consumare in diete "normali” quali legumi, patate o frutta.
Non è in alcun modo consentito mangiare questi alimenti proibiti, pena un blocco del dimagrimento, vanificazione del lavoro fatto e possibili problemi di salute, anche se l'assunzione si limita ad un singolo episodio.
Questo è approssimativamente il credo comune.
L’errore di fondo che si commette è quello di traslare un protocollo clinico, nato con specifiche finalità, quali mimare gli effetti del digiuno per proporlo come terapia dietetica ai pazienti epilettici farmaco-resistenti, a tutt’altro soggetto con obiettivi completamente differenti: dimagrire e sentirsi bene, senza attuare delle opportune, e indispensabili, modificazioni.
Le persone affette da patologie neurologiche che seguono una dieta chetogenica con finalità terapeutica hanno necessità che la chetogenesi non venga interrotta poiché sono i corpi chetonici ad apportare direttamente i benefici per la loro patologia. Per chi sfrutta la chetosi per dimagrire il discorso è ben diverso.
Entrare ed uscire dalla chetosi non è dannoso
Lo stato di chetosi è un meccanismo fisiologico che non si instaura “artificialmente" con una Dieta Chetogenica, bensì subentra anche in condizioni di digiuno (Paoli et Al.). La capacità di sostituire prontamente il glucosio con i corpi chetonici è essenziale ai fini della sopravvivenza.
È del tutto naturale per noi “entrare” e “uscire” dalla chetosi. Quotidianamente, durante le finestre di digiuno, anche in chi non segue una dieta chetogenica avrà un lieve innalzamento della chetonemia. In seguito ad un pasto composto da carboidrati questa si ridurrà drasticamente.
Complice la terminologia comunemente utilizzata entrare/uscire, si ha un'idea della condizione di chetosi: o sono in chetosi o sono fuori chetosi.
Si definisce chetosi una concentrazione plasmatica di chetoni pari o superiore a 0.5 mmol/L (Gibson et Al.) poiché è a tale concentrazione i corpi chetonici rappresentano il substrato energetico principale. Seppur in chetosi i corpi sono il substrato energetico predisponente, l’organismo utilizza complessivamente una “miscela” di corpi chetonici, glucosio, proteine e acidi grassi per soddisfare le proprie esigenze metaboliche.
Un valore plasmatico di 0.4 mmol/L non è clinicamente considerato chetosi - anche se non tutti gli autori sono concordi - ma non per questo ci si ritrova in una condizione metabolica completamente diversa rispetto ad una concentrazione leggermente superiore. Semplicemente, la composizione della miscela è variata, ma i corpi chetonici sono comunque prodotti in quantità superiori .
L'organismo modula costantemente la produzione dei corpi chetonici in base alle esigenze, pertanto "entrare" - innalzare la chetonemia - e "uscire" - ridurre la chetonemia < 0.5 mmol/L - dalla chetosi non comporta alcuna ripercussione negativa.
Uscire dalla chetosi non interrompe il dimagrimento e/o vanifica il lavoro fatto
Erroneamente si attribuisce allo stato di chetosi il ruolo di protagonista del dimagrimento.
“Se sono in chetosi dimagrisco, se ne esco ingrasso o mi blocco”.
In realtà, il ruolo della chetosi in un percorso dimagrante è quello di un utile ausiliario.
L’obiettivo di una dieta chetogenica è quello di raggiungere e mantenere stabile la condizione di chetosi, ma questo è vero fintanto che l’applicazione di questo regime viene attuato in ambito clinico, in un contesto in cui la chetosi risulti indispensabile per ottenere benefici sulla patologia.
Se si parla di dimagrimento, la chetosi è solo uno dei fattori in gioco e non può influenzare in maniera decisa e predisponente l’accumulo del grasso.
L’aumento e la riduzione del grasso corporeo sono influenzati principalmente dal bilancio calorico (Swinburn et Al., Romieu et Al.), ovvero dal rapporto tra energia introdotta ed energia spesa (in termini di calorie). Lo stato di chetosi influenza in piccolissima parte la perdita di peso, i vantaggi della dieta chetogenica per il dimagrimento sono per lo più indiretti. A parità di apporto calorico e proteico, una dieta chetogenica darà la stessa perdita di peso di una dieta “normale” (Hoffer et Al., Hall et Al.).
La teoria del bilancio calorico è una semplificazione dietetica ed è un argomento che verrà ampliato adeguatamente in separata sede, ma è sufficiente qui per spiegare che non può l’interruzione della chetogenesi comportare un aumento del grasso o ad un blocco metabolico, perché è indispensabile che al contempo si verifichi un incremento calorico persistente e considerevole che non si può limitare ad un singolo pasto o una giornata.
Conseguenze reali di un pasto libero
Se un pasto libero apporta un cospicuo quantitativo di carboidrati, si verifica un ripristino delle scorte di glicogeno (le scorte di zuccheri nel fegato e nei muscoli) e conseguente a ciò, anche una maggior ritenzione di acqua.
I carboidrati conservati nel fegato e nei muscoli, utilizzati durante la prima settimana di dieta chetogenica per sopperire alla carenza di zuccheri, vengono nuovamente stoccati nelle scorte di glicogeno grazie alla disponibilità data con il pasto libero. Al suo interno le molecole d’acqua si legheranno al glicogeno, le cellule saranno più idratate e il tutto sarà enfatizzato dall’eventuale carico di sodio nel pasto.
A tutto ciò consegue che il peso corporeo possa salire anche di due chilogrammi il giorno successivo. Si parla, chiaramente, di peso “finto”, derivato dal peso del glicogeno (assolutamente non indifferente) e dall’acqua.
Secondo lo studio di Wishnofsky sono necessarie circa 7000 calorie di surplus calorico per aggiungere un chilogrammo di grasso corporeo (Wishnofsky). Prendete con le pinze questi numeri, non si tengono conto di tantissime altre variabili che influenzano l’assorbimento e lo stoccaggio del grasso, ma anche in questo caso è una semplificazione più che sufficiente a spiegare che non sia possibile aumentare il grasso corporeo di 1 chilogrammo in appena 12-24 ore, poiché equivarrebbe a mangiare circa 10 pizze oltre alla propria normale alimentazione quotidiana.
Uno studio ha misurato la composizione corporea, rilevando quindi direttamente la massa grassa, ad un gruppo di persone che si sono iperalimentate per 3 giorni consecutivi durante una dieta dimagrante. La massa grassa dei soggetti è rimasta invariata (Sagayama et Al.).
Il peso aumenta in conseguenza alle reazioni esposte in precedenza, ma il grasso no. Questo peso verrà presto smaltito nel corso dei primi giorni poiché il glicogeno verrà nuovamente consumato e l’acqua verrà drenata.
L’uscita dalla chetosi può far incrementare i livelli di appetito nei giorni successivi e un’eventuale brusca introduzione di carboidrati complessi, dopo diverse settimane di dieta chetogenica, potrebbe causare discomfort intestinale.
Il pasto libero non è utile, è indispensabile!
Seguire una dieta dimagrante richiede una grandissima forza di volontà per organizzarsi al meglio e rinunciare ai propri cibi preferiti, ad alcune abitudini alimentari così come a tutte le tentazioni che giornalmente la mettono a dura prova.
La forza di volontà è una risorsa limitata (American Psychological Association), possiamo immaginarla come un muscolo: più viene utilizzato, più si affatica ed ha bisogno di recuperare e rigenerarsi.
Oltre ad essere limitata, non è selettiva. Vale a dire che utilizziamo la stessa forza di volontà non solo per seguire una dieta, ma anche per tutte le altre decisioni impegnative nella nostra giornata. Avete mai notato che è più difficile rispettare la dieta se la giornata è stata particolarmente stressante, abbiamo dovuto prendere delle scelte importanti, resistere a delle tentazioni o rinunciare a qualcosa?
Questo succede perché il serbatoio della forza di volontà si è esaurito, portando ad una condizione definita come esaurimento dell’ego (Hagger et Al.) e le persone che seguono frequentemente delle diete sono più inclini a sperimentarla (Wang et Al.).
Quando un pasto libero viene programmato nel percorso alimentare permette un’aderenza al percorso dietetico più lungo, mantiene alta la motivazione, permette il raggiungimento degli obiettivi ed evita la perdita di controllo che si verifica comunemente con gli approcci dietetici rigidi (Coelho do Vale et Al.) e permette di rigenerare la forza di volontà.
Le persone che seguono un approccio alimentare rigido, come si vede spesso nella classica mentalità di chi intraprende un regime chetogenico con delle drastiche restrizioni e limitazioni alimentari, è più soggetto all’effetto yo-yo del peso del (Elfhag et Rossner) ed a sperimentare abbuffate incontrollate che compromettono l’intero percorso (Stewart et Al.).
Oltre che a permettere una maggior compliance dietetica e a rapportarsi in maniera sana con il cibo, implementando la gioia del cibo e della condivisione dei pasti in uno stile di vita che miri ad un benessere più ampio, l’intermittenza calorica che ne deriva permette diversi vantaggi metabolici, come l’aumento della leptina e l’attenuamento dei rallentamenti metabolici indotti dalle restrizioni caloriche delle diete (Sundfør et Al.).
Come comportarsi dopo un pasto libero?
La prima cosa da fare, è non farsi assalire dai sensi di colpa.
Chi interpreta un pasto libero come un premio per festeggiare i progressi e gratificarsi per gli obiettivi raggiunti, ottiene più successo nella perdita di peso rispetto a chi lo vive facendosi assalire dai sensi di colpa e da uno sconforto ingiustificato (Kuijer et Boyce).
Una delle domande ricorrente nel gruppo Facebook di Vita Chetogenica è:
Come posso limitare i danni di un pasto libero?
Come abbiamo visto, non ci sono danni a cui porre rimedio. Un pasto libero ben contestualizzato e programmato nel proprio percorso, ha per lo più effetti positivi.
Ragionando per l’appunto su di un percorso strutturato, sarebbe sicuramente necessario attendere il completo raggiungimento della keto adaption, prima di pensare ad un pasto libero che apporti un considerevole quantitativo di carboidrati. Un organismo fat adapted, infatti, continua a “bruciare grassi” fino a 48 ore di ricarica glucidica (Achten e Jeukendrup) e permette il rientro in chetosi in tempi molto più rapidi.
L’esercizio fisico prima di pasto libero aiuta a veicolare i nutrienti principalmente nel tessuto muscolare, mentre in seguito al pasto libero, per velocizzare l’ingresso in chetosi si può implementare una finestra di digiuno ed incrementare l’attività fisica, così da consumare più rapidamente le scorte di glicogeno. Anche l’olio di cocco/MCT può favorire il rientro in chetosi fornendo acidi grassi pronti all’uso.
Oppure, si può semplicemente riprendere un regime chetogenico come se nulla fosse, rigenerati e pronti a ripartire.
Ogni quanto si può fare un pasto libero?
Dipende dalla persona. Il consiglio è di inserire il primo pasto libero dopo almeno 6-8 settimane di alimentazione scrupolosa, così da garantire il pieno shift metabolico ad un metabolismo che utilizza grassi e soprattutto, avere dei risultati da festeggiare.
Da lì in poi, in relazione al punto in cui ci si trova rispetto al proprio obiettivo, si può valutare un inserimento ogni 3 settimane circa, con la possibilità di ridurre man mano le tempistiche a seconda del contesto e della risposta individuale.